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Olivi e pietre bianche per ricordare

di Paola Pierotti

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5 dicembre 2009

«Incontrando in un bosco un tumulo di terra lungo sei piedi e largo tre, ci facciamo seri e qualcosa dice dentro di noi: qui è sepolto un uomo. Questa è architettura». Con questa citazione di Adolf Loos, maestro viennese dell'architettura del Novecento, Antonio Monestiroli, classe 1940, partecipa all'iniziativa lanciata dal Sole 24 Ore per la costruzione di un memoriale per i caduti per la pace.
Rispetto, pace e impegno morale sono i temi di riflessione proposti dall'architetto milanese e condivisi anche da architetti e artisti come Monestiroli, Paolo Portoghesi ed Emilio Isgrò, tutti della generazione dei 70enni. Valori che possono vivere dove c'è calma e silenzio. Nelle periferie urbane o nei parchi.
Se Monestiroli invita a valorizzare la qualità dell'architettura che sa «mettere in scena il senso dei luoghi e degli edifici», Paolo Portoghesi, architetto romano, classe 1931, propone per il memoriale una soluzione alternativa, "anti-monumentale": «Qualunque monumento che ricordi i morti per la pace suonerebbe come un gesto retorico e inadeguato ad esprimere un compianto che deve essere anche un impegno morale contro la guerra», dice. Il suo memoriale è una collina con gli olivi: due percorsi che s'incrociano tagliando una piccola piantagione di olivi, sollevata su un monticello di terra di riporto, con una piccola piazza al centro dove ci si possa sedere. «Una cosa facile da realizzare - aggiunge l'architetto - con poca spesa, senza consumare territorio, adatta per l'incontro, la preghiera, la riflessione».
Portoghesi suggerisce di creare questo momento di riflessione in un vuoto della periferia, dove normalmente la gente passa e non si ferma, una nuova natura. Monestiroli immagina invece il memoriale come un'architettura celebrativa. Un luogo alla fine di un percorso, che potrebbe essere realizzato in un parco esistente. Una passeggiata sospesa sull'acqua, che si conclude in un recinto aperto costruito con un corpo di fabbrica in mattoni rossi in cui sono incastrate centinaia di lapidi in pietra bianca che rappresentano «una moltitudine di presenze individuali». Le tante pietre bianche sono raccolte attorno ad uno specchio d'acqua nel quale si riflettono. «Il percorso - spiega il professore milanese - parte all'interno di due muri paralleli dove sono incisi i nomi dei caduti. Alla fine della passeggiata si aprirà la grande scena che rappresenta, uno per uno, tutti coloro ai quali il memoriale è dedicato. Tutti sono indistintamente rappresentati da una pietra bianca, sempre uguale, che non accetta distinzioni di fronte alla morte». I nomi letti nei due muri all'inizio del percorso si materializzano nelle lapidi creando un effetto di grande e intenso sentimento di rispetto.
Per architetti e artisti la memoria può essere rappresentata anche con grandi oggetti a scala urbana. Non solo muri ma anche un libro. «Un libro titanico che ha la stessa leggerezza della carta, senza essere carta. Fragile ma potente, apribile e consultabile, capace di commuoversi per la vita che se ne va nel segno degli ideali più schietti e sinceri, non ancora macchiati dalla retorica». È questa l'idea dell'artista Emilio Isgrò, classe 1937. «Di monumenti ha bisogno la guerra, non la pace, che è fatta di calma e di piccole cose che accumulandosi diventano grandi». Un motore invisibile sfoglierà le pagine. «Dalle pagine tutte cancellate, inoltre - dice Isgrò - affioreranno qua è la i nomi di alcuni ragazzi del Sud miracolosamente risorti... Si calcola che siano 139 i poveri figli d'Italia caduti in missione dal 1949 a oggi; per ciascuno di loro vorrei una pagina che ogni giorno riveli un nome diverso scampato alla morte per prodigio d'arte e d'amore».

5 dicembre 2009
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